Centro Europeo di Ricerca sul Cervello

Nel giugno del 2002, la Fondazione Santa Lucia si è aggiudicata la gara per la realizzazione di un Centro Europeo di Ricerca sul Cervello, con l’obiettivo di creare il polo di ricerca neurologico più grande d’Italia e di richiamare così “a casa” gli scienziati italiani sparsi in giro per il mondo e di attirare gli scienziati stranieri nel nostro paese. La prof.ssa Rita Levi Montalcini, ideatrice di questo ambizioso progetto, ha capitanato insieme alla Fondazione Santa Lucia tutta l’operazione, che ha costituito un forte rilancio della ricerca italiana al livello europeo e mondiale. Attualmente il Centro accoglie 3 fondazioni: oltre alla già citata Fondazione Santa Lucia (già gestore di uno degli IRCCS più importanti di Italia), convivono all’interno del polo di ricerca la Fondazione EBRI (European Brain Research Institute) e il CNR (Centro Nazionale delle Ricerche).

Nella progettazione hanno collaborato gli arch. A. Tocchi e M. Mesa del Castillo. I progetti impiantistici sono dell’ing. G. Bianchi e il per. ind. F. Di Stefano. Le strutture sono a cura dell’ing. P. Mangone, mentre per tutte le questioni dei VV.F. ha operato il per. ind. R. Basili. Nella direzione lavori ci hanno assistito gli arch. S. Catasta e E. Vatteroni e il per. ind. E. Marchio.

(Articolo per “Progettare per la Sanità”)

Progettare laboratori di ricerca, progettarli all’interno di una struttura esistente e abbandonata (pensata tra l’altro come edificio per uffici e negozi) e soprattutto progettarli e realizzarli in breve tempo: questo l’obiettivo-sfida posto nel giugno 2002.

Punto primo: progettare dei laboratori di ricerca
È come dire “progettare un casa” o “progettare un aroporto”, ovvero si hanno le stesse questioni ed incognite di qualsiasi altra tipologia di edifici. Non è sufficiente riferirsi al tipo edilizio “laboratori”. Anche per i soli aspetti funzionali e distributivi ci sono diverse soluzioni tipologiche, diversi approcci alle procedure che corrispondono ai diversi desiderata dei committenti, sottolineando l’unicità di ogni progetto.

Per l’area dei laboratori veri e propri (che occupano la maggior parte dell’edificio, circa 9.000 mq distribuiti su 4 piani) si è optato per lo schema distributivo noto come “corpo quintuplo”; ovvero laboratori con presenza fissa di persone alle estremità, a seguire verso l’interno un corridoio per lato e da ultimo al centro il blocco delle facility, ovvero quei locali con minor presenza di persone ma con macchine più rumorose, locali che rimangono, grazie ai corridoi che le avvolgono, più isolati rispetto ai laboratori veri e propri, lasciando a quest’ultimi la facoltà di utilizzare le finestre esterne, senza essere disturbati dai rumori interni alle facility, di contro proteggendo maggiormente quelle attività delle facility più delicate (come le camere sterili per esempio) ed assicurandone una costanza ed un controllo del microclima.
Alcune delle faciliti comuni si affacciano invece sugli atri di piano (lavavetrerie, laboratorio di radiochimica, laboratori e temperature determinate, +4°C o +37°C) garantendone l’utilizzo ai laboratori afferenti al piano o facilmente raggiungibili tramite la distribuzione verticale.
Il piano terra accoglie le funzioni legate alla comunicazione con l’esterno e alla amministrazione/dirigenza (portineria, uffici, sale seminariali e convegni, biblioteca, caffetteria).
Il piano interrato ospita invece quella che rappresenta l’altra grossa fetta di ricerca, ovvero la sperimentazione animale. Si trovano quindi qui locali per la stabulazione degli animali, per gli esperimenti comportamentali e per quelli strettamente connessi ad essi, facility specifiche dello stabulario e magazzini di pertinenza.
Sempre nell’interrato si trova una parte delle centrali tecnologiche, ovvero centrale idrica, centrale UPS e cabina di trasformazione elettrica.

In effetti è proprio quest’ultimo aspetto della progettazione (quello degli impianti) che ha rappresentato la parte più complicata dell’impresa, per la loro quantità e complessità.
Oltre all’interrato sono 3 i luoghi dove è concentrato il resto delle centrali: la copertura del fabbricato, una zona esterna seminterrata a ridosso di una collina naturale e collegata al fabbricato tramite un tunnel interrato, ed infine il piccolo blocco delle centrali dei gas tecnici che, per esigenze funzionali, non poteva essere collocato troppo lontano dal fabbricato principale e trova quindi posto sul retro di quest’ultimo accanto alla rampa che permette l’accesso diretto al piano interrato.
Oltre agli impianti tradizionali (impianto idrico-sanitario e di smaltimento di acque reflue bianche e nere, impianto di supervisione, impianto antincendio, impianto di antintrusione e di TVCC) l’edificio è caratterizzato dai seguenti servizi, tipici degli edifici ad uso laboratori di ricerca.
Impianto di condizionamento atto ad asssicurare 15 volumi ambiente/h grazie a 15 (?) UTA ed altrettanti armadi di estrazione, una centrale termofrigorifera composta da 5 (?) gruppi frigo e x caldaie (potenza).
Impianto di estrazione di servizio alle cappe chimiche e agli armadi contenenti solventi e/o acidi.
Impianto elettrico con energia normale, privilegiata e no-break che corrispondono a tre livelli di sicurezza: energia proveniente dall’ente erogante, energia assicurata da un gruppo elettrogeno (1000kW?), energia assicurata da una centrale UPS.
Impianto idrico per produzione e distribuzione acqua demineralizzata.
Impianto di stoccaggio e distribuzione gas tecnici (azoto, ossigeno, anidride carbonica).
Impianto di stoccaggio e distribuzione di azoto liquido che alimenta la conservazione criogenica.

Punto secondo: progettare in un edificio esistente abbandonato
Quando si recupera un fabbricato due cose rappresentano per lo più dei limiti alla progettazione: l’oggetto fisico in sè come forma e struttura (quindi la sua capacità di essere modificato ed adattato ad una nuova funzione) e lo stato di conservazione dell’oggetto fisico.

Il fabbricato esistente di cui si è provveduto al riuso, fa parte di un complesso di 4 edifici inseriti in un contesto paesaggisticamente interessante, essendo immerso nel verde della campagna romana pur usufruendo di un notevole valore aggiunto per le comunicazioni, dato dalla vicinanza con il GRA di Roma e dalla futura prossima apertura sullo stesso di un’uscita dedicata all’area nelle immediate vicinanze. Un altro dei suddetti 4 edifici facenti parte del complesso è collegato al fabbricato ospitante i laboratori di ricerca, tramite un edificio-ponte. Tali altri elementi del complesso (fabbricato collegato ed edificio-ponte) sono oggetto di un attuale studio di ampliamento del centro di ricerca.
L’edificio ristrutturato ha una struttura in cemento armato a travi e pilastri e consta di 5 piani fuori terra e di un piano interrato. Il solo primo piano aggetta sul piano terra di 5 metri creando sotto di esso un portico anulare che protegge da sole e pioggia il piano terra stesso, e una serie di terrazzi sopra di esso, accessibili dal secondo piano, terrazzi che sono stati collegati fra di loro con il risultato di una cintura verde sospesa come continuazione ideale della campagna romana circostante.
Lo stato di conservazione dell’edificio era buono per essere un fabbricato costruito nella prima metà degli anni ’80 e mai utilizzato fino all’abbandono. Ovviamente le esigenze della nuova funzione hanno fatto sì di agire ad un totale restyling, non solo estetico-architettonico ma anche e soprattutto tecnologico e normativo-funzionale.
I vecchi infissi esterni in alluminio e vetro della prima generazione, sono stati sostituiti con elementi di ultima generazione. La tamponatura esistente in pannelli in calcestruzzo cellulare è stata rivestita all’interno con una controparete in pannelli di cartongesso e all’esterno con pannelli sandwich in acciaio ed isolante interno, creando così una facciata ventilata ed assicurando un incremento notevole delle prestazioni termo-igrometriche.
Per gli infissi interni sono state utilizzate porte in alluminio verniciato con pannelli sandwich di tamponatura, a parte le porte con caratteristiche REI.
Le tramezzature sono realizzate in pannelli di gesso ceramico rinforzato, con metodologia costruttiva del tutto simile al cartongesso (velocità di montaggio e di smontaggio), ma con superiori caratteristiche termo-acustiche.
I pavimenti ed i rivestimenti (completamente assenti nell’edificio esistente), sono realizzati in PVC poliuretanico per tutti gli ambienti dei laboratori; solo negli uffici, nelle sale riunioni, e negli altri locali comuni (caffetteria, biblioteca, servizi) è stata utilizzato materiale ceramico.
Per adeguare l’edificio alle normative di sicurezza sono state demolite e ricostruite le scale antincendio, ora in metallo, adeguandole così esteticamente ad un immagine generale di “edificio tecnologico”. Altre scale interne sono state prolungate per permettere il raggiungimento di tutti i livelli, compresa la copertura. Sono stati inseriti gli ascensori nei vani corsa esistenti per velocizzare le lavorazioni e diminuire i costi.
Un grande limite dell’edificio esistente è stato il rapporto tra la struttura portante in c.a. e gli spazi necessari, in particolare per gli impianti, che costituiscono come già detto una porzione molto grande dell’intervento. In particolare l’altezza delle travi esistenti che in alcuni casi dovevano sopportare il peso di uno sbalzo di 5 metri dato dal piano primo: all’interno dei controsoffitti è possibile osservare i diversi “strati” di tutti i diversi impianti, che come un sistema di vene ed arterie tecnologiche si distendono per tutto l’edificio.
Sempre per la presenza così cospicua di impianti è stato costruito sulla copertura un “piano” in più: una struttura metallica che si appoggia sul prolungamento dei pilastri esistenti e che serve da appoggio per UTA, armadi di estrazione e canali dell’aria, mentre al di sotto di essa corrono tutte le tubazioni dell’acqua.
Per soddisfare gli standard urbanistici richiesti, è stato inoltre costruito un parcheggio interrato di 2.000 mq accanto all’edificio stesso.

Punto terzo: progettare e realizzare in breve tempo
L’elemento tempo è certo una delle caratteristiche più complicate dell’architettura, in particolare se si pensa che per la costruzione di questo centro di ricerche si sono impiegati 6 mesi per la progettazione e 20 mesi per la realizzazione, l’allestimento e l’arredo.

Un primo elemento è stata la progettazione, dove si è cercato di adottare soluzioni meno complesse possibili. In particolare una distribuzione orizzontale e verticale semplice e nel rispetto dell’esistente.
Poche modifiche strutturali hanno permesso di velocizzare le lavorazioni: nella ricostruzione delle scale di sicurezza per esempio si è utilizzata una struttura metallica che è stata costruita fuori opera e composta in cantiere, assicurando un minor ingerenza di tale lavorazione con il resto delle attività; i vani ascensori invece sono stati mantenuti gli stessi, per evitare demolizioni di solai.
Il posizionamento delle centrali tecnolgiche in posizione periferiche ha facilitato anche le operazioni di collaudo tecnico mentre si ponevano in opera le finiture e si allestivano con arredo tecnico ed attrezzature i laboratori.
L’utilizzo di una finitura semplice, non troppo diversificata ed essenziale ha assicurato la velocità di posa in opera, oltre a caratterizzare esteticamente l’edificio.
Più che altrove, la presenza di numerose imprese realizzatrici ha reso più difficoltosa la realizzazione: almeno dieci tra ditte costruttrici (edili ed impiantistiche) e ditte fornitrici di arredi ed attrezzature sono intervenute sovrapponendo le lavorazioni, creando cantieri nei cantieri, senza tener conto delle numerose imprese subappaltatrici. Il coordinamento del sistema cantiere ha quindi rappresentato uno degli elementi di maggior importanza per la funzione tempo. Modificare il cronoprogramma adattandolo non solo al susseguirsi delle diverse lavorazioni ma anche al sovrapporsi di alcune di esse, ha consentito di bruciare alcune tappe proprie di un cantiere “tradizionale”.

Non ultima variabile temporale sono state le modifiche in corso d’opera, dovute ad esigenze tecniche sorte nel cantiere o a varianti funzionali-ditributive derivanti dal pervenire di nuovi di gruppi di ricerca con esigenze differenti; l’edificio così come concepito, ha mostrato in queste occasioni già una certa flessibilità e capacità di adattamento.

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